Il judo è un’arte marziale, uno sport che è diventato ufficialmente disciplina olimpica nel 1964, a Tokyo.
Il judo, considerato una filosofia giapponese, è una disciplina per la formazione dell’individuo dal punto di vista morale e caratteriale.
La parola judo è composta da due caratteri giapponesi (kanji): 柔 (jū, cedevolezza) e 道 (dō, via) e significa quindi via della cedevolezza, riferito alla forza nemica; ciò insegna che il modo per vincere una forza nemica non è l’opposizione, ma il contrario, cioè sfruttandola e dirigendola per il proprio fine.
Il judo ha origini dal jujitsu o “arte della flessibilità”, la più nota leggenda sulle origini di questa pratica, racconta che intorno alla metà del ’500 un medico di Nagasaki, Shirobei Akiyama, si recò in Cina per approfondire le sue cognizioni sull’agopuntura e sui metodi di rianimazione, che presupponevano una perfetta conoscenza dei punti vitali del corpo umano. Akiyama, uomo di multiforme ingegno, approfittò del soggiorno nel continente per studiare anche il taoismo e le arti marziali cinesi. Tornato in patria, durante un periodo di meditazione notò che i rami più robusti degli alberi si spezzavano sotto il peso della neve, mentre quelli di un salice si piegavano flessuosi fino a scrollarsi del peso, per riprendere poi la posizione senza aver subito danni. Applicando alle tecniche di lotta apprese in Cina le considerazioni maturate sulla cedevolezza o «non resistenza», fondò la scuola yoshin (del «cuore di salice»).
Jigoro Kano, padre del Judo Kano nacque a Mikage, un villaggio nei pressi di Kobe, il 28 ottobre 1860. Morta la madre, la famiglia si trasferì a Tokyo, proclamata capitale con la “restaurazione Meiji” del 1868. Conseguì il diploma alla scuola di lingue straniere, imparando alla perfezione l’inglese, e s’iscrisse all’Accademia (poi Università) Kaisei. D’intelligenza vivissima, ma di gracile costituzione, il giovane Kano subiva la prepotenza dei compagni. Nel 1877 cominciò a praticare con passione il jujitsu, in quel tempo assai screditato, impegnandosi in duri allenamenti
Mentre progrediva con sorprendente facilità, penetrando i segreti dei diversi stili, nel 1881 ottenne la laurea in lettere e cominciò ad insegnare al Gakushuin, la Scuola dei Nobili. Nel 1882 Kano aprì una palestra (dojo) di appena 12 materassine (tatami) nel tempio shintoista di eisho a Shitaya, radunandovi i primi allievi: nasceva così il Kodokan («luogo per studiare la Via»), dove il giovane professore elaborò una sintesi di varie scuole di jujitsu.
Il nuovo stile di lotta, non più soltanto un’arte di combattimento, ma destinato alla divulgazione quale forma educativa del corpo e dello spirito, venne chiamato judo («Via della cedevolezza / flessibilità»): come precisò Kano nel 1922, si fondava sul miglior uso dell’energia («seiryoku-zen’yo«) allo scopo di perfezionare se stessi e contribuire alla prosperità del mondo intero («jita-kyoei«).
Eliminati gli aspetti più violenti della disciplina marziale, il judo entrò perfino nei programmi scolastici: fu un risultato senza precedenti, dovuto alle grandissime capacità pedagogiche di Kano. Una delle sue massime preferite, secondo John Stevens, era: «Niente sotto il cielo è più importante dell’educazione: l’insegnamento di una persona virtuosa può influire su molte altre; ciò che è stato ben assimilato da una generazione può essere trasmesso ad altre cento».
Kano ricevette significativi riconoscimenti. È bene ricordare che fu un personaggio di rilievo non solo nello sport del suo paese: fin dal 1909 rappresentava il Giappone nel CIo e nel 1911 fondò il Comitato olimpico nipponico, di cui fu presidente fino al 1921, quindi presidente onorario. rettore del Collegio dei Pari, direttore della Scuola Normale Superiore, addetto allaCasa Imperiale, segretario del Ministero dell’educazione Nazionale, direttore dell’educazione Primaria, senatore, ecc.
Nel 1895 Kano elaborò il primo go-kyo (i «cinque principi» d’insegnamento del judo), che revisionò nel 1921, mentre completava i kata («modelli» delle tecniche di lotta). Nel 1922, quarant’anni dopo la fondazione del Kodokan, diede vita alla Società Culturale del Kodokan (Kodokan-bunkakai), definendo le già citate massime fondamentali del judo: «seiryoku-zen’yo» e «jita-kyoei».
Le otto qualità essenziali sulle quali si poggia il codice morale del fondatore, alle quali ogni judoista (jūdōka) dovrebbe mirare durante la pratica e la vita di tutti i giorni sono:
- L’educazione
- Il coraggio
- La sincerità
- L’onore
- La modestia
- Il rispetto
- Il controllo di sé
- L’amicizia
Mentre i tre nemici che ogni judoka dovrebbe tenere lontano sono:
- la noia
- l’abitudine
- l’invidia
I caimani del Piave, ovvero come il judo arrivò in Italia:
Agli inizi del 900, i numerosi contatti stabiliti tra i marinai italiani e quelli nipponici, consolidati al tempo della rivolta cinese dei Boxer (1900), favorirono la diffusione delle tecniche di jujitsu anche tra i nostri soldati, incuriositi ed affascinati dal modo particolare di combattere all’arma bianca o a mani nude; Durante la prima grande guerra (1915-18) quando fu costituito il Battaglione San Marco (i «marines» italiani) formato da marinai impiegati in servizi speciali sul fronte terrestre nel Veneto, qualcuno deve essersi ricordato di militari della Marina già destinati in Estremo Oriente negli anni precedente, qualificati esperti di jujitsu o judo, e questi, secondo quanto il Comandante dei «caimani» Vittorio Tur raccontava agli allievi delle Scuole di Pola nel 1928, dovevano essere stati utilizzati per il particolare addestramento che oggi diremmo «dei commandos» che veniva impartito ai «caimani ».
I Caimani del Piave furono dunque un reparto di nuotatori addestrato per attraversare i fiumi a nuoto allo scopo di condurre ricognizioni, azioni di sabotaggio o portare ordini, reparto intensamente impiegato da parte italiana durante la prima guerra mondiale sul fronte del Piave.
Essi erano uno speciale reparto di Arditi volontari che, creati all’indomani della Battaglia di Caporetto, avevano messo a punto delle particolarissime tecniche offensive.
Inizialmente costituito per lo più da nativi delle zone del Piave, il loro primo teatro di impiego, perché ne conoscevano le insidie, in un secondo momento il reparto accolse anche volontari provenienti da altre regioni che si distinguevano per le capacità natatorie.
L’addestramento era molto duro e concentrato, oltre che sul nuoto, soprattutto sulle tecniche di combattimento a mani nude e lama corta.
In acqua avevano adottato una tecnica di nuoto ispirata agli alligatori: per minimizzare la superficie esposta e quindi la possibilità di essere individuati, esponevano dall’acqua solo la testa al di sopra delle narici. Da questo probabilmente deriva la denominazione di caimani.
La divisa era costituita da semplici calzoncini da bagno. Conducendo azioni per lo più notturne, inoltre, erano soliti ricoprirsi con una mistura di grasso (per proteggersi dal freddo) e nerofumo (per mimetizzarsi nel buio).
Fonti: Wikipedia – “Breve storia del Judo” di Livio Toschi